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Gianni Rivera Pallone d'Oro. (foto com.) ndr. |
di Redazione
BARI, 1 GEN. - Il Numero 10, il numero magico, sinonimo di classe estro e irriverente fantyasia. In Italia lo ha incarnato con grande signorilità Gianni Rivera che però non c'è da un pezzo, Maradona pure. Baggio e Del Piero dal tocco smarcante sembra ancora di vederli in campo, e ora che anche Francesco Totti ha smesso, che ne sarà dei numeri 10 di professione, quelli dal tocco magico e dalla gamba d’oro? Torneranno mai gli artisti della “trequarti”, i poeti estinti di questo calcio moderno che non prevede più registi avanzati, rifinitori per vocazione. Il calcio è cambiato. I “Dieci” sono stati per tanto tempo, per un secolo, l'espressione massima del talento. L'anticamera del goal. Un ruolo nobile, da primario dal tocco chirurgico. I numeri dieci erano pochi, tutti speciali, nessuno da scordare. Il trequartista che indossava quel numero è sempre stato un marchio qualitativo di fabbrica, il football che si fa arte. Una fenomenologia all’interno del fenomeno calcio. Ecco perché nel calcio di oggi in quel football imballato nella corsa, nella tattica, nel marketing dei tatuaggi di oggi sembra quasi un sacrilegio, una bestemmia, vedere quel numero sulla maglia di calciatori dalla tecnica approssimativa.
Il numero dieci è l’apologia della qualità la quintessenza della qualità, in special modo se volgiamo lo sguardo al passato, alle storie di ieri. Quando i numeri sulle maglie narravano non solo i ruoli, ma anche gli uomini, la loro consapevolezza, tra volontà e rappresentazione». I numeri sulla divisa sociale, marchio di riconoscimento umano, di peculiarità nell'azione pedatoria. Il numero 1era il portiere, primo e unico in tutti i sensi. Un po' folle ed un po' razionale, di certo mai banale. Il numero 7 era l'ala destra, il funambolo del dribbling. Micidiale come una stilettata, spesso un eroe tragico come Mané Garrincha, l'angelo dalle gambe storte. O come George Best e Gigi Maroni, la farfalla granata. La fantasia e l'estetica appartenevano (e appartengono) invece al numero 10. Il fulcro del gioco, il regista, il “rebelde” dal tunnel umiliante. Poteva essere, il “dieci”, elegante come Gianni Rivera protagonista principale della epica semifinale Italia – Germania 4-3, del mundial messicano del 1970) o cinico ed imprevedibile come Omar Sivori, l'argentino dai capelli arruffati, calzettoni abbassati e quel tocco da beffardo realismo.
Il 10 accendeva l'immaginazione, quel numero trasportava il calcio nell'Olimpo di tutte le meraviglie del possibile e dell'impossibile. In quell'Eldorado degli Anni Ottanta, abbiamo avuto la fortuna di ammirare nel nostro campionato (e non solo) artisti assoluti come Maradona, Zico e Platini e il campione del mondo Giancarlo Antognoni. Ogni partita, un'opera d'arte, una sfida tra “Dieci”. Melodie da numero dieci. Un po' introvabili nel football più rap che rock di oggi. Un calcio con tante band di livello, ma pochi solisti unici, intramontabili.
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