Il Grande Torino

domenica 1 gennaio 2017

Il Grande Torino.(foto com.) ndr.

di Redazione

BARI, 1 GEN. - Quest’anno è stato inaugurato lo staio “Filadelfia” distrutto e ricostruito quello che è stato il teatro delle gesta di una squadra indimenticabile: Il Grande Torino. I granata, guidati da Valentino Mazzola, il capitano dei capitani, hanno record strabilianti e assolutamente irripetibili. Bastava, per esempio, uno squillo del trombettiere del Filadelfia perchè si scatenassero. Leggendaria, per esempio, una partita romana quando il Grande Torino, in svantaggio di un gol nel primo tempo contro i giallorossi, stabili negli spogliatoi, durante il riposo, che non si doveva più scherzare. 
Fu così che vennero segnati 7 gol a dimostrazione che quella squadra vinceva come e quando voleva. Nessuna squadra al mondo ha mai rappresentato per il calcio tutto ciò che è riuscito al Grande Torino. Era il quattro maggio del 1949, in un triste e uggioso pomeriggio di un’ormai avanzata primavera la storia del Grande Torino si interruppe bruscamente, e da storia diventò Leggenda. Un breve attimo, l’impatto, il boato: alle 17.05 il tempo era pessimo con nuvole basse e pioggia battente. Dopo l'ultimo contatto con la stazione radio, forse a causa del maltempo o di un guasto all’altimetro, l'aereo si schiantò contro la Basilica di Superga, avvolta in una fitta nebbia. Lo sgomento fu enorme ed il compito più triste di tutti toccò a Vittorio Pozzo, che dovette procedere al riconoscimento delle salme dei suoi ragazzi. Nella tragedia di Superga perirono trentuno persone fra atleti, dirigenti, giornalisti e membri dell'equipaggio. La Storia, quella con la “S” maiuscola ebbe inizio dieci anni prima, con l’arrivo al timone della società granata di Ferruccio Novo, che acquisì il Torino dall'ingegnere Cuniberti. Si trattò di una vera e propria svolta per la società granata; Ferruccio Novo, grazie alle sue doti di mecenate ed attento amministratore e con l’aiuto di validi elementi quali Janni, Ellena e Sperone, riuscì a costruire la squadra nota a tutti come “Grande Torino”, ancor oggi inimitabile. La prima dell’era “Novo” fu una stagione di studio. 
Arrivarono il difensore Piacentini ed il centravanti Franco Ossola. Il Varese lo lasciò partire per ben 55.000 lire, cifra rilevante per il mercato dell’epoca. Nel campionato 1940/41 il Torino fu settimo, con l'allenatore austriaco Tony Cargnelli. Per il campionato 1942/43 ingaggiò Loik e Mazzola dal Venezia, Grezar dalla Triestina e affidò la direzione tecnica della prima squadra a Janni, che sostituì Kutik. Il torneo fu un lungo testa a testa tra Torino e Livorno, risolto solo all’ultima giornata, grazie al gol decisivo di Valentino Mazzola che andò a segno contro il Bari: Torino 44 punti, Livorno 43. Dopo 15 anni il Torino vinse di nuovo lo scudetto, il primo dei cinque consecutivi. Nella stagione 1942/43 il Toro si aggiudicò anche la seconda Coppa Italia con un record senza precedenti: 5 vittorie su 5 partite contro Anconetana, Atalanta, Milan, Roma e Venezia, 20 reti fatte e 0 subite. Poi dopo anni di trionfi quella maledetta partita. I giocatori del Torino tornavano a casa da una trasferta a Lisbona per una gara contro il Benefica, concordata tra i due capitani delle squadre. Mazzola e Ferreira si erano conosciuti in occasione della gara tra Italia e Portogallo giocata a Genova. Ferreira chiese a Capitan Valentino di disputare con un’amichevole contro il Torino in occasione del suo addio al calcio. Mazzola si disse d’accordo e l'intesa fu presto raggiunta. 
L’incontro fu fissato per martedì 3 maggio 1949 ed il Torino ottenne dalla Federazione il permesso di anticipare al 30 aprile la sfida con l’Inter. La gara contro il Benfica fu una vera amichevole, la formazione granata sconfitta 4-3 con grandi applausi al capitan Ferreira che abbandonava il calcio, in uno stadio gremito da quarantamila persone. Di ritorno da Lisbona, la tragedia. Nessuno si salvò. Due giorni dopo l’intera città di Torino si strinse intorno alla squadra, vero simbolo di un’epoca. Una lunga, ininterrotta processione rese omaggio alle bare allineate a Palazzo Madama e mezzo milione di persone partecipò ai funerali il 6 maggio 1949. Erano presenti alle esequie rappresentanze di tutte le squadre italiane e di molte squadre straniere, un giovane Andreotti in nome del governo ed il Presidente della Federazione Gioco Calcio, Ottorino Barassi, che fece l'appello della squadra come dovesse scendere in campo. Scrisse Indro Montanelli: "Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta. "Di quella grande squadra si salvarono solo tre giocatori che per svariati motivi non parteciparono alla trasferta portoghese: il secondo portiere Renato Gandolfi che cedette il posto a Dino Ballarin, Sauro Tomà infortunato al ginocchio e Luigi Gandolfi, un giovane del vivaio granata. 
Si salvarono anche Ferruccio Novo, alle prese con una brutta broncopolmonite, ed il grande telecronista Nicolò Carosio che rimase a casa per la cresima del figlio. La stagione 1948/49 fu portata a termine dalla formazione giovanile del Torino, che disputò le restanti quattro gare contro le formazioni giovanili delle altre squadre. Il Torino vinse tutte le rimanenti partite, chiudendo il campionato 1948/49 con 60 punti, cinque di vantaggio sull’Inter, seconda in classifica. Ma fu un trionfo amaro, segnato dall’indelebile ricordo della tragedia. Il 26 maggio 1949 venne organizzata allo stadio Comunale una partita il cui incasso era destinato ai familiari delle vittime. Contro il grande River Plate si schierò il Torino Simbolo, un gruppo di undici fuoriclasse prestati da tutte le squadre, che indossarono la maglia granata. Per il Toro giocarono Sentimenti IV, Manente, Furiassi, Annovazzi, Giovannini, Achilli, Nyers, Boniperti, Nordhal, Hansen, Ferrari II, Lorenzi, mentre stella degli argentini era Di Stefano. In un Comunale al limite della capienza la partita-spettacolo terminò 2-2.



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