di Giovanni Sgobba
BARI- Eviterò di utilizzare le parole "schifo", "scandalo" o quant'altro di simile. Anzi, in cuor mio, la delusione (che c'è, è inutile nasconderlo) viene in parte smorzata dalla convinzione che l'eco di questa nuova ondata di perquisizioni ed arresti (con le conseguenti pene) possa portare a dimostrare una cosa, un concetto abbastanza semplice: la verità, prima o poi, viene a galla.
Solitamente mi tengo lontano dal giudicare il calciatore in quanto uomo: sia ben chiaro posso criticare la sua prestazione sul campo quando indossa maglietta e scarpini, ma mi riservo dal giudicarlo quando smette di essere calciatore. Evito, anche se posso ben capire chi la pensa diversamente, discorsi sull'essere miliardari, sul potersi permettere una vita agiata: si può essere colmi di cose materiali, ma se uno si dimostra debole o vuoto all'interno, non ci potrà essere macchina di lusso che possa cambiare stato d'animo. Qui però la debolezza umana centra ben poco: quando i confini si intrecciano, quando professionisti, abusando della loro professione, inquinano ed alterano il mondo in cui lavorano, con la convinzione di quello che stanno facendo, allora non meritano alcun tipo di giustificazione.
Parliamoci chiaro: ci sono le immagini di Sculli, di Criscito che discutono con gente di malaffare, tra i quali c'è anche Massimo Leopizzi, uno dei capi ultrà del Genoa (vi ricordate Sculli che fu l'unico genoano ad interagire con i tifosi nella giornataccia di Genoa - Siena, quella delle magliette levate?). La cosa che mi fa sorridere è proprio questa: quanta superficialità, quanta stupidità in questi gesti! Ricordiamoci da dov'è partito questo nuovo filone, ricordiamoci del portiere che drogò alcuni sui colleghi per alterare il risultato. Ma si può pensare di passare inosservati? Di farla franca con delle semplici dichiarazioni "sono estraneo ai fatti?" Se Masiello affermò che cadde in tentazione a causa delle continue pressioni e minacce o del fatto che si sentì solo e non protetto dalla società, qui è chiaro l'atto volontario e ragionato del raggirare tutti, dai colleghi amici calciatori, passando per i tifosi che investono non solo sentimenti e si vedono investiti emotivamente da comportamenti di gente disonesta.
Trapattoni, col suo modo di fare vernacolare, dice una cosa giusta: "Non impariamo mai dalle lezioni del passato e continuiamo a cadere in questi che più che errori definirei imbecillità, che purtroppo minano il calcio italiano".
Non sono errori: se dopo Calciopoli (che ha a modo suo dimostrato che nulla passa inosservato), si tenta nuovamente di commettere atti illegali, non si cade in errore, ma si commette una sbruffonata, talmente spocchiosa, da risultare ancor più grave dello scandalo del 2006.
Qualche tempo fa, l'ex calciatore del Bari Antonio Bellavista, anche lui incriminato ed incarcerato per breve tempo, disse: "Ho sbagliato e non lo rifarei, ma sbagliare è umano e tutti meritano una seconda possibilità. La giustizia penale e quella sportiva devono darci una seconda chance". Mi sento di dissentire. E' un po' come quanto accadeva fino a qualche anno fa nell'atletica: dopo la falsa partenza di un singolo atleta, l'ammonizione diventava collettiva e la seconda falsa partenza, a prescindere da chi avesse effettuato la prima, valeva la squalifica. Il concetto è lo stesso: con Calciopoli il calcio italiano si è giocato il suo jolly, la sua credibilità. Doveva essere una lezione per tutti, doveva essere premura del singolo giocatore (come in effetti fece la Nazionale italiana), difendere la propria categoria, dimostrare la bontà del proprio lavoro, del sudore negli allenamenti.
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